LE MORE SONO LAMPADINE BRUCIATE

a cura di Giuseppe Rizza

  È quella di Francesco Terzago una poesia composta, stipata verrebbe da dire, dalla materia, una materia a sua volta stratificata, come i fossili, ricca di materiali, e che affiora da una sorgente minerale, che è l’intorno, l’ambiente che dovremmo onorare invece di deturpare quotidianamente con la nostra presenza.

  I suoi sono versi compositi perché derivanti e derivati, ramificati, figli e nello stesso tempo gestanti, hanno il passo della prosa – la prosa lirica di certi scrittori dell’est europa – e quello ondulante della poesia.

Se non fosse un aggettivo ormai logorato dallo spreco quotidiano che se ne fa, la sua sarebbe una poesia mistica, che irradia pensieri laterali, e ha le movenze di una serpe che ambisce a una vita prolungata in un sentiero semiarido di un bosco calpestato.

E così se la prima lunga poesia si conclude immaginando un budda figlio delle cave – nelle terre di confine fra alta Toscana e Liguria – la seconda richiama le atmosfere milanesi di Pagliarani e del suo linguaggio tecnico meneghino degli anni del boom, o all’anidride solforosa del Roversi che regala i suoi testi a Lucio Dalla: in fondo, il capitalismo si può criticare anche solo citandolo (in questo modo la direzione / promuoverà la dieta mediterranea scongiurando / il consumo di sostanze stupefacenti).

Ma la scrittura di Terzago in questa sua ultima raccolta (Ciberneti, uscito per Samuele editore in collaborazione con PordenoneLegge) fornisce alla lingua una nuova veste (dai un tiro/ alla sigaretta e quella svampilla) che è soprattutto quella tecnica dell’industria (non bisogna lasciare che gli sfridi metallici / pungano il margine delle unghie), ma non solo: è una materia lavorata, che crea nuvole di polveri sottili dissipate dal vento. La poesia diventa una pioggia che incombe.

È quindi una poesia politica (vedi la poesia Tosaerba automatici a guida satellitare), che si struttura nell’essere contemporaneo, nel vivere qui e ora, ma che sa essere comunque intima, in rilievo rispetto al sentire umano, vegetale, minerale.

In Ciberneti pertanto l’autore non solo sembra tracciare il presente, ma anche il futuro prossimo della nostra realtà distorta (Abbiamo / lasciato le nostre case quando era buio, sarà buio / quando ritorneremo e questo ci darà la sensazione / che sia stato tutto un sogno ad occhi aperti).

[…] distraggono e spaventano, le foglie. Il verde inatteso:
distraggono dall’entità degli stipendi, dalla voce lunare
in radio, dalla subordinazione, dalla gerarchia.