Guido Catalano: ovvero, (il nulla)

Guido Catalano, ovvero: questo paese è alla frutta, voglio emigrare in Islanda del Nord.

 

Correva l’inizio del mese di Novembre e la mia compagnia teatrale girava per sagre e manifestazioni culturali baresi. Eravamo in piena promozione del debutto del nostro ultimo spettacolo su Piero Ciampi, uno dei più grandi poeti e cantautori italiani, ancora oggi escluso dai grandi giri delle multinazionali discografiche, per le sue idee anarchiche e per la sua vita “scomposta”.
Alla fine dell’incontro, tra tarallucci e vino, e non è una metafora, mi si avvicinò una signora a me sconosciuta.
– Scusi
– Dica
– Immagino le abbiano già detto che lei assomiglia al poeta Guido Catalano, vero? Con questa barba, gli occhiali. Lui ha i capelli però


 

– (la signora iniziava male l’abbordaggio) No, mi dispiace. E non so neanche chi sia questo Guido Catalano.
Mi vergognavo come un ladro. Ero andato per suonare (di cultura) ed ero stato suonato. Ahimè, c’era un poeta che non avevo mai sentito nominare. E aveva anche i capelli. Sto stronzo.
– Deve assolutamente conoscerlo – continuò lei, come un treno in corsa – ha un profilo facebook frequentatissimo, dove posta una poesia al giorno con 400, 500 “mi piace” ognuna.
Pensai che dovesse essere un diarroico cronico della parola. Io ci metto quindici giorni per scriverne una e se raccolgo una ventina di “mi piace”, mi va di culo. Però sono un uomo intraprendente con punte di incoscienza notevoli. Il giorno dopo mi reco da Feltrinelli e compro il suo ultimo libro “Piuttosto che morire, m’ammazzo”. Alla fine della lettura mi ritrovo d’accordo con lui. Nel senso che, piuttosto che aspettare altri cinquant’anni che accada per naturali ragioni, fallo da solo.
Bene, giungiamo al libro. Pubblicato da Miraggi Edizioni. E’ una casa editrice che conosco, mi piace. Pubblica cose che altre case editrici che si definiscono importanti o serie non pubblicano e cura molto l’immagine e la promozione dei suoi artisti. E infatti, più vado avanti nella lettura, più il Catalano mi sembra una fantastica opera di marketing.

Il Catalano parla d’amore. Ma d’amore tra una sordomuta e un lobotomizzato. La maggioranza delle poesie sono un dialogo tra una fantomatica lei, che io avrei buttato fuori di casa dopo un minuto e mezzo, e un lui…un lui…ma ci sono dei lui così al mondo? Ho paura che lui lui (Catalano) sia davvero come quell’immaginario lui. E allora sei messo male, cazzo!
In “Ricordo tutto” l’autore inizia pressappoco così
“Ricordo che la tua pizza preferita
era al prosciutto e funghi,
senza funghi”
Mi chiedo se io debba andare avanti e farmi male ancora. Penso che per amore della poesia io debba.
“O forse fu il tuo amore incondizionato
per il pongo,
potevamo giocarci per ore,
in silenzio,
nudi,
sul parquet di casa tua”
Ok, forse è meglio che passiamo oltre. Mica tutte le ciambelle riescono col buco, no? Questa gli sarà venuta male, ne scrive una al giorno e quel giorno gli sarà arrivata una cartella di Equitalia di 24.000 euro.
Sfoglio ancora e toh! Cosa trovo? “Tutti al mare”. Il titolo mi ricorda qualcosa, bene, di originale non sa scrivere neanche i titoli delle poesie.

“La sabbia nel culo,
ustioni di secondo grado,
la sabbia nelle palle,
l’unto sulla pelle,
il catrame nei piedi,
i bambini grassi che corrono e ti investono
i bambini magri che ti pigliano a pallonate negli occhiali.

I tamarri che fanno i gavettoni,
la prova costume,
la noia”
Sei tu la noia!!!!

Parla e scrive come parlava mia nonna. “Giovanni, hai la sabbia nel costumino, vieni che ci laviamo”. Lei, però, era più interessante di sto Catalano. Ti raccontava degli aneddoti sulla guerra in un modo, quella si, che era poesia vera nella tragedia.
Ne leggo ancora un altro paio, ma ormai le mie pupille sono rivolte all’ indietro lasciandomi scoperti i bulbi oculari e il mio respiro è ridotto ad un soffio premorte.
Lei, signor Catalano, è un genio. Non per le sue poesie, che in tutta franchezza sono brutte, banali, sentite mille volte nel bar sotto casa, in frasi pronunciate da ragazzini brufolosi e pieni di ormoni che ancora devono affrontare la bellezza e la severità della vita. Quei ragazzi che si ascoltano sorridendo, pensando “a 18 anni siamo tutti uguali, in qualsiasi epoca si viva e diciamo tutti le stesse cose”. Loro sono belli nella loro banalità.

Lei è un genio perché sta cavalcando la banalità e il nulla di quest’epoca. L’ignoranza in cui la gente è sprofondata, la voglia di fankazzismo dei quarantenni radical chic, quelli della nostra generazione, quelli ancora mantenuti da mamma e da papà. Quelli che se leggi loro dei versi di Salinas ti rispondono “Aho, ma che palle. Annamose a fa ‘no shottino de tequila”.
I poeti, caro signor Catalano, non dovrebbero raccontare la banalità che li circonda, ma dovrebbero andare nella profondità di una banalità apparente o nelle altezze dove neanche i gabbiani si elevano, per raccontare ai comuni mortali com’è la realtà da lassù.
Lei fa un cattivo servizio alla poesia e a questa nazione. Lei lascia che la gente pensi che la poesia sia questa. Beh, non lo è. La solita solfa della poesia contemporanea, fuori dalle regole, non regge. Lei non è fuori dalle regole, lei è esattamente la regola di questa società che gli scrittori dovrebbero cercare di raccontare per cambiarla. Lei è marketing, null’altro. E non è neanche un cabarettista, perché recita malissimo.
Signor Giudice, io chiedo la condanna senza “assoluzione per pietà” per questo soggetto. Perché mentre un poeta incapace fa danni solo a sé stesso, un poeta furbo fa male al mondo.