Modello e rappresentazione nella tematica delle statue animate nella mitologia greca

A cura di Rosalba Pipitone

Una delle più antiche prove che mostra come i sogni manifestino la loro realtà oggettiva, ci viene offerta dall’ Olimpica XIII. Pindaro narra come la dea Atena apparsa in sogno a Bellerofonte, gli dona un morso fatto da anelli d’oro con il quale avrebbe domato Pegaso permettendogli di sconfiggere le Amazzoni, uccidere la Chimera e sbaragliare i Solimi. La statua della dea Atena non è nominata ma la figura del dio che appare in sogno è immaginata simile alla statua di culto abitualmente venerata con-fondendosi così l’una con l’altra e ritenendo possibile che la stessa statua potesse elargire anche responsi. Artemidoro afferma che non vi è alcuna differenza nel sognare una divinità e la sua immagine di culto, dato che ciò che viene messo in rilievo è la forma dell’apparizione. In molti casi la statua acquista movimento e parola durante il sogno ma, insiste Artemidoro, questo avviene a condizione che la divinità si presenti al dormiente nella sua forma abituale e con i tratti specifici che le appartengono, meglio ancora se si presenta gioiosa, rivelando al dormiente cose buone. Se ciò non accade, il messaggio del sogno potrebbe essere ingannevole o mutare di significato. La tematica delle statue animate svolse un ruolo importante nella Grecia classica e antica, anche se in un primo tempo queste pratiche religiose non vennero accolte favorevolmente. La spiegazione è data dal fatto che il sogno si svolge in uno spazio e in un tempo indeterminati dove l’ordine divino è sospeso. Nel sogno si stabiliscono legami con le potenze primordiali garanti di una sapienza che è anche conoscenza delle cose future, dalla quale le stesse divinità olimpiche, in primis Apollo, dipendono dai loro oracoli. Possibilmente questo tipo di azione rendeva, nella Grecia arcaica e classica, impraticabile questo tipo di divinazione. Essa, creando rapporti diretti con il tempo delle <>, e quindi tralasciando l’ordine stabilito dagli dei, veniva in contatto diretto con le fonti prime della conoscenza. Solo in età tarda, al rafforzarsi delle credenze in forze sovrannaturali e in relazione col neoplatonismo, si sviluppò la credenza nelle statue animate (con o senza rituali e riconducibile alla magia simpatica).

La consacrazione è una pratica divulgata in età romana ritenendo che si potesse fare intervenire la divinità nell’oggetto materiale preparato ad accoglierla. L’oggetto inanimato partecipa alla divinità e ne condivide la capacità di predire il futuro. Essendo il sogno stesso immagine, si giungerà comunque a un’immagine, che sia la divinità ad apparire in sogno o il simulacro che la rappresenta, poco importa. La statua è l’immagine dalla quale si giunge al modello. In questo senso non è possibile prescindere da un confronto dal quale saranno riconosciuti l’identità e la perfezione del modello. Il legame statua/immagine/modello è rafforzato dall’effetto dell’azione magica.La statua è considerata come un ricettacolo che la divinità è chiamata colmare con la sua presenza ma resta aperta la via anche a un percorso inverso. Qua non è possibile non trovare l’idea, di tradizione platonica, dell’imitazione: la metafora dello specchio. Attraverso l’immagine riflessa nello specchio è possibile afferrare l’immagine divina per garantirsene la presenza e il beneficio. Apollodoro, in un racconto su Eracle, racconta come Dedalo costruì una statua in tutto simile a Eracle come gesto di riconoscenza per il fatto di avere sepolto il figlio Icaro sull’isola che da lui prese nome (iKaria). Eracle, avendo incontrato di notte la statua e non avendola riconosciuta, le scagliò contro una pietra come se fosse viva.L’eventualità che la statua prenda vita, ci viene offerta da una variante che narrava come, colpita da Eracle, la statua si volse contro di lui restituendogli il colpo. Due gli elementi di interesse: la statua presenta una similarità al modello, l’incontro si svolge di notte. La notte, nella sfera preolimpionica, rappresenta il mondo opposto a quello in cui opera normalmente l’uomo e nel quale appaiono annullate le leggi che governano il cosmo. Il buio della notte, non permettendo una percezione del reale, e la dimensione extraumana nella quale è inserito l’episodio, favoriscono una con-fusione tra esseri che, essendo già per loro natura simili, rischiano di apparire identici. In alcuni passi di Platone e di Aristotele viene confermata l’idea secondo la quale l’immagine onirica tende a confondersi con il modello, anche quando presenta con esso una vaga somiglianza. <>? Secondo Aristotele il dormiente riceve delle sensazioni simili a colui che è vittima delle passioni ed è soggetto ad errare, così come il dormiente può essere ingannato dal sonno e dai vari stimoli che colpiscono gli organi di senso facendo sì che ciò che ha una piccola somiglianza venga confuso con l’oggetto stesso cui è simile. Eracle è partecipe di un’esperienza che si realizza solo nel sogno e in condizioni alterate nelle quali il soggetto si trova ad operare nei due casi. Di questo racconto su Eracle è possibile fare emergere anche altri aspetti. Eracle non riconosce l’immagine della statua e la colpisce perché scorge in essa un altro se stesso. L’eroe scambia l’immagine per realtà con la complicità del buio della notte. La statua, nella variante che narra della reazione della statua, replica all’eroe su un piano di parità. Nella rappresentazione, modello e immagine hanno in comune non solo lo stesso aspetto ma anche la stessa reazione come se Eracle vedesse la propria azione riflessa in uno specchio. La statua diventa sosia dell’eroe e non vi è più un modello e una rappresentazione ma perfetta identità. In questo senso, Eracle salvaguarda la propria identità e la propria esistenza, ristabilendo e ridisegnando i confini tra soggetto e immagine, tra modello e rappresentazione.