La storia della chitarra rock

La storia della chitarra rock

Guido Michelone

copertina MASPERONE E TAVERNESE

Arriva in libreria La storia della chitarra rock scritto da Luca Masperone e Stefano Tavernese per le edizioni Hoepli di Milano: più che la solita recensione, mi sembra interessante, come hanno fatto anche gli autori di un testo comunque utilissimo, rimarcare il ruolo di alcuni grandi solisti. Ecco dunque, sulla base anche del testo, i miei quattordici chitarristi elettrici preferiti (in ordine di ‘amore) che sono via via afroamericani (Robert Johnson, B.B. King, Muddy Waters), statunitensi (Joe Bonamassa (Jimi Hendrix, John Mayer, Tom Morello, Eddie Van Halen, Jack White), inglesi (Eric Clapton, Jimmy Page, Keith Richards), messicani (Carlos Santana), nigerini (Bombino).

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Jimi Hendrix
È unanimemente ritenuto il poeta, il genio, il maestro, il rivoluzionario della chitarra elettrica (Fender Stratocaster) in ambito rock: in lui si sommano e si completano tecnica e feeling, ricerca e spontaneità, gesto e immaginazione. Autodidatta curioso, solista inverosimile, sperimentalista innato, in grado di unire melodismo, rumore, avanguardia con estremistica sensazionalità, Hendrix in pratica inventa (e reinventa) ogni cosa nel sempiterno macrocosmo pop e nell’allora microcosmo rock, fino a ispirare ancor oggi i giovani chitarristi che si esercitano su brani ormai classici, in particolare dall’album Electric Ladyland a nome del trio Experience. Essendo mancino, Jimi fa capire ai suonatori della mano sinistra come si possa addomesticare uno strumento per farne qualcosa di musicalmente unico e singolarissimo. Chitarrista superdotato, riesce a portare il virtuosismo artistico ai livelli più alti, creativi, immaginifici, partendo dal blues e arrivando al free o al noise. Vorrebbe avvicinarsi al jazz (ne parla con il divino Miles David) ma un’overdose lo conduce al tristemente noto Club dei 27, fra i primi (secondo solo a Robert Johnson) assieme a Kurt Cobain, Amy Winehouse, Jim Morrison, Janis Joplin, Brian Jones, Alan Wilson.

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Eric Clapton
Oggi è forse l’unica autentica leggenda della chitarra pop, con un’ininterrotta attività che parte dai primi Sixties e che già a metà di quel decennio vede i propri fan scrivere “Eric Clapton is God” sui muri di Londra. Amante del sound afroamericano fin da ragazzino, Clapton, fra gli Inglesi, resta indubbiamente il più celebre (e celebrato) chitarrista rock e blues, contribuendo a rendere grande la musica britannica “importata” dagli Stati Uniti. Solista e melodista, Eric è soprannominato Slow Hand, per il tocco virtuosistico in tanti differenti registri, che vengono tipicizzati nel prediligere la calma e la lentezza dei bluesmen neri. Una song come Layla – in origine nell’album Layla and Other Assorted Love Songs a nome del gruppo Derek And The Dominos – lo conducono, dopo un momento personale difficilissimo, verso un successo planetario, che da allora perdura anche quando si lancia in solitudine alla chitarra acustica (l’album Unplugged del 1992 con una bella versione dela stessa Layla).

Robert Johnson
Pur registrando solo ventinove pezzi in un paio di sedute, il bluesman di Hazlehurst (1911-1938) s’impone alla distanza come un musicista seminale, un autentico genio del chitarrismo blues con un impatto enorme sui futuri sviluppi sia del blues medesimo sia della chitarra rock. La leggenda vuole che Johnson venda l’anima al diavolo (incontrato di persona a un incrocio stradale) in cambio del talento musicale: all’epoca molti colleghi sostengono che Robert non sappia suonare prima dell’incontro con un tizio che gli insegna ad accordare la chitarra e a eseguire alcune canzoni in quello stile rallentato che ancor oggi risulta soprendentemente moderno. A questi misteri se ne aggiunge un altro che ovviamente concerne la morte. Benché numericamente povero di curriculum professionale, Robert Johnson è chiamato The Genius assai prima di Ray Charles; e un pezzo quale Crossroads è ancora qui, attualissimo, a mostrarne appunto la genialità.

Muddy Waters
The Lord of the Blues, come viene soprannominato, resta un chitarrista impareggiabile – nella top ten dei migliori in molte graduatorie afroamericane – grazie a come fin da subito riesce a divulgare l’impiego della tecnica bottleneck. Il virtuosismo applicato a promuovere o addirittura a inventare il blues elettrico (o r’n’b) è per lui in simbiosi all’attività compositiva grazie a un pezzo vitatissimo quale il riffeggiante ossessivo Hoochie Coochie Man, divenuto ben presto classico del genere o cover per rock band. Insomma Muddy Waters contende a Big Bill Broonzy, John Lee Hooker e ovviamente i tre King lo scettro di re della black music alla chitarra.

B.B. Il King
Nato a Itta Bena dalla contea di Leflore nello stato del Mississippi, il nostro Blues Boy (all’anagrafe Riley, 1915-2015) è dagli anni Cinquanta a oggi un’autentica leggenda, meno tecnico di uno Stevie Ray Vaughan, ma più personale degli altri due omonimi re (Freddie King e Albert Kingston); dotato di naturale carisma in palcoscenico con la Lucille (il nome dato appunto alla propria inseparabile chitarra) è pure autore/interprete di sound ormai classici (Sweet Little Angel), interpretandoli con una voce chitarristica, ricca, emozionante, caratterizzata dall’acceso vibrato e dal tocco inimitabile, che influenzerà subito giovani colleghi, quali Clapton o Hendrix. Partendo da una sola nota, King insomma è in grado quasi di narrare o fare letteratura con lo strumento medesimo.

Carlos Santana
Per molti studiosi è fra i precursori della cosiddetta word music, riuscendo in tal modo a ispirare  diversi chitarristi africani, asiatici, centro-sudamericani, ovvero fuori dai consueti circuiti rock europei e nordamericani Con il soprannome di The Pope per la grandezza universale con la quale riesce a stupire con il rock, il pop, la salsa, il jazz, la fusion, in un misto profumato di aromi soprattutto latinoamericani, il messicano Santana è un solista raffinato, la cui genialità si estrinseca in un tocco gentile e focoso al tempo stesso, grazie a una formula inedita composta da blues e samba in un clima fortemente percussionistico. Ascoltando ad esempio uno slow di successo come Europa viene fuori un approccio anche molto lirico che si alterna a una vena molto più calda e satura che viene ritenuta il ‘marchio di fabbrica’.

Keith Richards
Noto quale chitarrista seduttore, chiamato The Human Riff, si distingue non tanto per tecnica o virtuosismo, quanto nel portare all’estrema la semplicità, lasciando soprattutto agli altri compari (via via Brian Jones, Mick Taylor, Ron Wood) il ruolo di chitarra solista dei Rolling Stones. Optando’per “due note che uccidono, piuttosto che il virtuosismo per niente”, Keith riversa le ossessioni sonore in un idioma personalissimo, usando una chitarra a 5 corde accordata in sol a open tuning, con cui scrive autentici rock standard rabbiosi da Jumpin Jack Flash a Satisfaction, da Paint it black a Street Fighting Man.

Jack White
Viene spesso ritenuto un purista nel suo genere, genere musicale che però non è ben definibile. Fatto sta che rinunciando agli effetti ipertecnologici a favore di un chitarrismo rock quasi scarno, dimostra una passione sconsiderata verso il vintage sonoro che profuma di blues e r’n’b. Certo, può apparire strano parlare di echi afroamericani, ma il talento dell’uomo all’interno dei White Stripes – un duo con la moglie Meg alla batteria – devia il sound oltre il punk, l’indie, l’alt rock, con i quali viene definito, per strutturarsi piuttosto come rock-blues. Riprendendo pezzi ‘antichi’ come Stop Breaking Down (Robert Johnson) e St. James Infirmary Blues (Louis Armstrong), di fatto Jack rivisita il blues chitarristicamente, moto proprio.

Bombino
Un caso davvero unico nella cosiddetta world music per questo artista segnato dai conflitti bellici nel paese natale (il Niger): tuttavia fra l’andirivieni in esilio e la difesa della propria cultura di tradizione tuareg, Bombino – al secolo Goumar Almoctar – s’afferma quale strumentista completo dentro la scena internazionale, in grado di conciliare sia le sonorità etniche con la maestria chitarristica, sia le grida di tristezza con gli inni di gioia. Considerando che il governo gli impedisce in patria di usare gli strumenti a corda (giudicati simboli resistenziali) e gli uccide molti orchestrali (talvolta sommariamente giustiziati), il chitarrista ispirato da Jimi Hendrix, Mark Knopfler, dall’afrobeat africano, dal folk locale, Bombino continua a promuovere musica impegnata e coesione sociale, prendendo assolo notevoli come nel commovente Mahagagh (dall’album Agadez).

Jimmy Page
Per molti critici è il terzo grande chitarrista nella storia del rock, dopo l’oro a Hendrix e l’argento a Clapton, con il quale milita per breve tempo nel quintetto beat Yardbirds a metà Sixties. Page è invece fondatore e coleader, assieme al cantante Robert Plant, del quartetto hard rock Led Zeppelin, autentica icona negli anni Settanta. Chiamato The Wizard, per le doti virtuosistiche, Jimmy è il primo sia a usare un archetto di violino sulla propria Gibson, sia a giostrare sulle sensibilità blues e rock, tra impeto e naturalezza. Assieme a Plant scrive brani entrati nelle moderne mitologie tra cui Black Dog, Whole Lotta Love e soprattutto il superbo Stairway to Heaven con un intro, un crescendo e un finale da urlo.

Eddie Van Halen
Per moltissimi chitarristi esiste solo un ‘prima’ e un ‘dopo’ Van Halen nel senso che basta un solo pezzo di un minuto e quarantadue secondi, Eruption, per cambiare il modo di usare lo strumento: e per tutti i ragazzini che vogliono imparare a suonare la chitarra elettrica resta il solo modello da seguire da cima a fondo. Non a caso l’olandese naturalizzato americano viene chiamato “superuomo”, giacché sia il fan sia chi lo ascolta per la prima volta resta sbalordito su come venga riversata in questo e altri brani cosi tanta maestria strumentistica accompagnata da un oggettivo virtuosismo. Vedendolo ‘toccare’ il manico e il corpo della chitarra, durante l’assolo, non sembra che possegga solo dieci dita.

Joe Bonamassa
Oggi [2018] il quarantenne cantante/solista di Utica (Stato di New York) rappresenta il modello quasi assoluto del rock-blues statunitense, un genere che dai neri sta passando di mano ai bianchi. Allo strumento possiede uno stile rough, tanto rustico quanto di proposito grezzo, che conferma al contempo melodicità e potenza. In tutto il mondo i chitarristi di ogni tipo riconoscono in lui una tecnica incredibile espressa soprattutto in una velocità illimitata ma dal perfetto controllo. Per apprezzarne il talento solista e la voce rock è sempre utile riascoltare la performance dal vivo di Just Got Paid (nel CD Shepherds Bush Empire), dove emerge un feeling costruito fin da bambino con un’ottima educazione musicale culminante nella collaborazione con B.B. King.

John Mayer
C’è qui un chitarrismo che mischia tecnica e sentimento, con il pollice a toccare la corda più bassa onde abbellire la nota, che riesce a tener testa ai migliori solisti blues e rock. A scoprire un talento spesso misconosciuto dai critici (e da una certa fetta di pubblico), forse a causa di un sentimentalismo cantautoriale, è consigliabile l’ascolto dell’album Try assieme a Pino Palladino (basso) e a Steve Jordan (percussioni). Ma anche in precedenza quando nel 2004 partecipa al Crossroads Guitar Festival (antologizzato su CD) di Eric Clapton prende un incredibile solo bluesistico quale intro al suo notevole City Love, ispirandosi al favolistico Machine Gun dell’inarrivabile Jimi Hendrix.

Tom Morello
Assai meno noto al grosso pubblico, rispetto agli altri quattordici chitarristi presenti in questo capitolo, Thomas Baptiste (classe 1964) è un rocker americano che, oltre lo strumento, si divide professionalmente fra canto, composizione, attivismo politico. Nella pop music è noto sia per il contributo fornito a due band conosciutissime, ovvero Rage Against the Machine e Audioslave sia grazie alle tournée effettuate con Bruce Springsteen nella E Street Band. Ma non bisogna dimenticare i gruppi Street Sweeper Social Club, The Nightwatchman, Prophets Of Rage da lui fondati, nonché il brano capolavoro Le Veilleur de nuit; pioniere del rap metal, esploratore del potenziale sonoro di diversi modelli chitarristici, Morello è altresì considerato il re del picking and tapping.

Cfr.: Luca Masperone e Stefano Tavernese, La storia della chitarra rock, Hoepli, Milano.