Günter Eich: locus terribilis

( traduzione e commento di Raffaele Gatta )

Con Günter Eich ci troviamo catapultati negli orizzonti di una poesia tedesca che non ha più, di fronte a sé, le stesse dinamiche sociali e culturali di una generazione prima. Eich nasce nel 1907 e l’aprirsi del secolo crea nella società tedesca, e in generale in tutta Europa, una nuova visione del mondo e delle cose. L’avanzamento di un progresso tecnologico e scientifico fa sì che le città prendano un aspetto sempre più metropolitano e che le piccole comunità, i piccoli paesi, vadano verso quel decentramento culturale. Si avrà una rimozione morale e progressiva della Natura, un allontanamento da questo concetto, idea e realtà composta da quella essenzialità umana di cui parlerà, sebbene in altri termini, forse più antropologici, lo stesso Pier Paolo Pasolini nel corso del Novecento. È ovvio dunque che, in uno scenario simile, anche l’arte e la letteratura si rivolgano a quel cambiamento sociale ed esistenziale. Se fino all’Ottocento la Natura ( anche nel senso fisico del termine e dunque non per forza filosofico ) era stata al centro dell´uomo con tutte le sue forme e tutta la sua carica emotiva, costituendo essa stessa un luogo-tempio e una determinazione della visione globale, ora, la stessa, vive una sorta di decadenza. Il poeta, il caso dello stesso Eich, vive la Natura sotto forma d’incubo e non più di armonia dell’esistenza.

gatta

Certamente, in termini filosofici, era stata descritta anche come forza ostile, ( pensiamo allo stesso Leopardi ) ma in essa perdurava un’identità istintiva, naturale per l’appunto. Ora non è più così e non sarà più così per tutto il secolo, perché perderà quel suo tratto naturale ( anche crudele e negativo ) per costruire su di sé un aspetto intollerante, crudo, inospitale. Günter Eich si troverà di fronte a questa Natura, questo mondo spietato. Soldato tra il 1939 e il 1945, prigioniero di guerra, vivrà un periodo storico dal quale muterà per sempre il contatto Poesia-Natura.

Le poesie di Eich trovano nella descrizione e nello stile ancora parte della poesia naturalistica, ma capovolgono profondamente il loro contenuto e concetto. Un mondo e una natura descritta con gli occhi antichi dell´essere umano che trova dinanzi a sé l´impossibile, l´innaturale. Per questo leggendo le poesie di Eich ci si trova di fronte a un sogno assurdo. L´uomo ridotto a una bestia, l´uomo che nel vivere gli ambienti naturali del mondo si sente estraneo, fa fatica a vivere in quella Natura che si è fatta terrore. Come nel caso della poesia qui presentata “Latrine”, il poeta è vicino a un fiume e un bosco ma è evidente che lo scenario non è più un Locus amoenus, inteso come luogo immerso nel verde, tra placidi ruscelli e simile a qualcosa di paradisiaco. Ecco che in questa immagine possiamo comprendere il contrasto: da uomo della Natura, a uomo costretto a vivere il Locus terribilis.

Il problema in realtà, potremmo ora dire, è che la natura del mondo di Eich è la natura umana diventata mostruosa. Ovvero è per mano dell´uomo che la Natura diviene terribile. Leopardi che nel Dialogo della natura e di un islandese aveva dipinto una Natura funesta che attanaglia, attraverso gli elementi naturali, l´uomo, in uno scenario simile come quello vissuto da Eich, probabilmente avrebbe ridisegnato nei suoi versi un uomo che da sopraffatto dagli elementi naturali diviene egli stesso distruttore, oppure avrebbe riscontrato quello che aveva di fatto espresso in: La Ginestra, ossia questa non-alleanza tra gli uomini, quest’odio permanente che non permette al genere umano di combattere unito contro la Natura, ma che si ostina in guerre assurde. Un uomo che da sottomesso alla Natura ne diviene alleato nel piano di distruzione.

Nei versi di Eich ogni dettaglio diviene immagine. In Latrine sembra quasi per antipodo approdare a una visione ironica dell´incubo. Uno scenario sporco, apocalittico che per la sua assurdità diviene irreale. Gli elementi descritti in ogni dettaglio, in modo quasi ossessivo, servono a far comprendere come l´uomo della sua generazione si ritrovi a convivere con poco o niente e che ogni oggetto è lì come in ricordo della vita vera, quella della normalità perduta.

Latrine

Über stinkendem Graben,
Papier voll Blut und Urin,
umschwirrt von funkelnden Fliegen,
hocke ich in den Knien,

den Blick auf bewaldete Ufer,
Gärten, gestrandetes Boot.
In den Schlamm der Verwesung
klatscht der versteinte Kot.

Irr mir im Ohre schallen
Verse von Hölderlin.
In schneeiger Reinheit spiegeln
Wolken sich im Urin.

 >>Geh aber nun und grüße
die schöne Garonne – <<
Unter den schwankenden Füßen
schwimmen die Wolken davon.

Latrina

Sopra il fosso fetido,
Carta piena di sangue e urina,
Circondato da mosche scintillanti,
Io sto accovacciato,

Lo sguardo sulla riva coperta dai boschi,
Giardini, barca arenata.
Nel fango della decomposizione
Battono gli escrementi secchi.

Mi sbaglio nell´orecchio risuonano
I versi di Hölderlin.
Le nuvole nella purezza più bianca della neve
Si specchiano nell´urina.

Vai però adesso e salutami
Il bel Garonne –
Sotto i piedi ondeggianti
Le nuvole nuotano via.

Inventur

Dies ist meine Mütze,
dies ist mein Mantel,
hier mein Rasierzeug
im Beutel aus Leinen.

     Konservenbüchse:
Mein Teller, mein Becher,
ich hab in das Weißblech
den Namen geritzt.

Geritzt hier mit diesem
kostbaren Nagel,
den vor begehrlichen
Augen ich berge.

Im Brotbeutel sind
ein Paar wollene Socken
und einiges, was ich
niemand verrate,

so dient es als Kissen
nachts meinem Kopf.
Die Pappe hier liegt
zwischen mir und der Erde.

Die Bleistiftmine,
lieb ich am meisten:
Tags schreibt sie mir Verse,
die nachts ich erdacht.

Dies ist mein Notizbuch,
dies meine Zeltbahn,
dies ist mein Handtuch,
dies ist mein Zwirn.

Inventario

Questo è il mio berretto,
Questo è il mio cappotto,
Qui le mie cose per la barba
Nel sacco di lino.

           Gamella:   
Il mio piatto,il mio bicchiere,
Ho inciso il mio nome
Nell’alluminio bianco.

Inciso qui con questo
Prezioso chiodo,
Quello che nascondo
Da occhi invidiosi

Nel sacchetto di pane ci sono
Un paio di calze di lana
E alcune cose, che io
Non confido a nessuno,

Così serve da cuscino
Nella notte alla mia testa.
Il cartone qui steso
Tra me e la terra.

La mina della matita,
La amo più di tutte le cose:
Il giorno mi scrive i versi
Che di notte ho pensato.

Questo è il mio diario,
Questa è la mia tenda,
Questo è il mio asciugamano,
Questo è il mio spago.